Il nuovo Umanesimo del branding 3.0 passa attraverso l'ascolto, l'analisi dei bisogni e il trasferimento di valori. La centralitá della parola 'significante'.
Presi dall'imperativo Digital first! non è scontato per chi opera nella comunicazione mantenere il focus rispetto all'obiettivo finale di ogni consulenza in questo ambito. Generare vendite? No.
O meglio non solo.
Spesso si chiede alle Digital PR o all'Ufficio Stampa di generare brand awareness come se fosse sufficiente comunicare bene per ottenere la fiducia del cliente che resta collegata in primis a un'esperienza piacevole e coerente ai valori espressi dal marchio.
E se è vero che la fiducia è un valore fondante nella relazione con il cliente, diventa essenziale per la generazione Z, quando - secondo i dati 2022 HootSuite - il 73% dei giovani acquista esclusivamente marchi in cui crede, per i quali sono disposti anche a pagare di più; il 71% può perdonare i brand di cui sposa i valori anche di fronte a errori marchiani.
Per le nuove generazioni un prodotto/servizio vale, se porta valore alla collettivitá, se non inquina o se l'azienda si adopera per ridurre l’impatto ambientale generato o se è in grado di garantire condizioni di lavoro e di benessere adeguate al proprio personale. Negli ultimi anni sull'onda delle nuove tendenze sociali votate alla tutela dell'ambiente, dei diritti civili e sociali sono emersi approcci di comunicazione e branding come la employee advocacy o la lead branding che mettono al centro il valore della persona.
Chi può trasmettere al pubblico i valori aziendali meglio della persona, del lavoratore? Mentre diventano sempre più dispendiose e rischiose le strategie basate su testimonial -figure istituzionali, del mondo dello spettacolo o dello sport- scelti per trasferire credibilitá, simpatia, fiducia sul pubblico, attraverso scelte di employee advocacy si torna a mettere in luce il valore dei dipendenti aziendali come portavoce credibili. Non a caso Amazon ha realizzato una campagna mondiale proprio basata sulle storie dei lavoratori, anche per far fronte a un calo di fiducia sulle condizioni di lavoro.
Tramite i volti, le dinamiche di produzione, gli aspetti più quotidiani (e possibilmente sostenibili) il pubblico viene trasportato emotivamente nel brand, ne condivide i valori in un processo di "umanizzazione" del prodotto/servizio offerto dall'azienda.
Parliamo di "Leading Experience Architecture" quando riusciamo a dare vita a un'esperienza di brand a 360° (threesixty!) coinvolgente, personalizzata e significativa per il cliente. Ciò significa che ogni punto di contatto dell'azienda con i propri pubblici - da come si presenta la sede (o i dipendenti su LinkedIn!) ai rapporti con i fornitori; dall'esperienza in-store alla facilitá d'uso degli e-shop; dal sito web ai social media; fino alla qualitá del prodotto/servizio o l'assistenza post-vendita - concorre alla percezione finale del brand.
Fondamentale dunque un approccio di design thinking che fa della comprensione dei diversi target e delle loro esigenze il perno di ogni strategia di comunicazione volta a consolidare una relazione coerente e piacevole con ognuno.
Al solito non c'è AI o diavolerie 3.0 che tengano: non esiste una scorciatoia per l'agognato branding (o la fiducia di marca come si diceva una volta). Si parte dal fare bene e si arriva al farlo sapere, come nelle buone vecchie Pubbliche Relazioni degli anni Ottanta, o - se vogliamo - nell'Umanesimo che ripartiva dai fondamentali (i classici) per costruire una nuova e più solida cultura europea dopo i cosiddetti "secoli bui" del Medioevo.
In un'epoca sempre più veloce, mediata e in evoluzione costante, creare un brand solido e duraturo è una sfida che raccogliamo, mantenendo il nostro timone saldo su quel canale umano insostituibile, l'unico in grado di condurci all'ambita meta....la fiducia.